ITALO BONASSI
In una sua breve critica alla poesia "Làgreme scondùde":
"Mi pare molto bella, esemplare di un poeta allo stato puro, che battaglia più che con gli altri soprattutto con sé stesso.
L’orgoglio di scrivere in un “dialet desmentegà”, quello non ancora inquinato, ma pulito, verace, quello che fa parte della storia di un popolo nonostante tutto ancora attaccato in parte alle proprie tradizioni, è lo stesso orgoglio con cui a volte pure io tento di non far morire un dialetto, quello mio, che, più che “desmentegà” è morto o morente, quello dell’Istria, dei miei genitori, dei miei nonni, dei miei bisnonni, della mia gente che non c’è più, scomparsa anche quasi nella memoria.
Mi commuove l’invito “no sté a fermarve a parole coìde una a una, zirese malmadure, zerché quel fil fin che ‘l le liga ‘ntrà de lóre”. Questo è per me il passaggio più bello e più poetico dell’intera composizione, il nocciolo, anzi il cuore, il clou, del complesso tema della continua e lenta disaffezione alla parlata dei propri vecchi.
Una poesia però pessimista, amara, un invito a scavare nei versi ( e nel cuore ) del poeta , per repezzar sbreghi e sfrizzoni ed asciugare qualche lacrima.
Malinconico, se si pensa anche a sé stessi, quello “stopin de na vita che la schechéza”. Particolarmente efficace il verso finale,”schechéza”, quasi sarcastico, e che ben si confà come falsa rima con la “carezza” e che, anche come pronuncia, sdrammatizza in parte quell’inquietante figura dell’ “animèla” che ha finito lo stoppino. Come una risata a sfida del destino"
30.01.2012
RODOLFO VETTORELLO
Ho con Guido Leonelli una poco spiegabile contiguità ambientale se non proprio linguistica.
Lui bolzanino di nascita e trentino per scelta e tradizioni, io padovano di nascita, lombardo per emigrazione ma bellunese per scelta sentimentale e affettiva.
Ho scelto come patria la terra di mia madre e come lingua del cuore il “petel” delle vallate alte del Cordevole. Purtroppo non so scrivere in nessun dialetto per la babele che mi occupa la mente ma mi ritrovo ad avere dei lampi improvvisi e ricordare, non so come, parole dell’infanzia perdute dentro il baratro del tempo. Vocaboli di un dialetto amato che pochi ricordano e di cui le mie cugine feltrine non hanno assolutamente memoria.
I giovani anche di quelle valli hanno perduto le loro radici linguistiche, il loro dialetto materno, la prima lingua che l’affetto ha di sicuro messo sulle loro labbra e qui, come altrove, domina un italiano anglicizzato da troppe inspiegabili intrusioni. Qualcuno tuttavia dedica le proprie energie e la propria cultura per tenere viva la memoria attraverso il culto del dialetto che più gli appartiene.
Guido, che è un amico caro, ha avuto modo di lamentare con me, che qualche volta mi attivo per dare vita a qualche Concorso Letterario, si è lamentato che manchino spesso nei Concorsi delle sezioni dedicate ai dialetti.
Una piccola affettuosa polemica , la mia, per dire che ammettere la poesia dialettale a competere, nella medesima sezione, con la poesia in lingua equivale a riconoscere al dialetto la stessa dignità della lingua ufficiale. Non ho preteso di convincere Leonelli che prevedere, all’interno dei Concorsi, una sezione speciale dedicata alla poesia dialettale sarebbe equivalso a ghettizzare questa forma di espressione. Non l’ho convinto, ne sono sicuro, però oggi posso portare acqua al mulino della mia convinzione.
Al Premio Letterario Thesaurus, che da quattro anni porto avanti con altri amici, nella sezione Poesia Edita, sezione alla quale era ammessa la partecipazione indifferente di qualsiasi forma scritturale, quest’anno ha largamente prevalso una Raccolta Poetica in Dialetto.
Una lunga divagazione la mia che serve unicamente a sottolineare come da parte del sottoscritto ci sia una apertura larghissima, anzi una simpatia viscerale per la scrittura dialettale.
In particolare modo la poesia, per essere primariamente scrittura dell’anima e per attingere alle profondità più remote della nostra coscienza, trova nel dialetto una forma espressiva assolutamente congeniale.
Mia madre mi sussurrava, ricordo, le parole più dolci per convincermi al sonno in “petel” e sono certo che quando la dovrò invocare perché mi assista nel momento del distacco definitivo, la mia parola avrà una sola emme, come mama, mama, mama!
Sono scivolato nel patetico ma non mi vergogno perché non mi appartiene il rigore e la coerenza di Guido che per questo mi dovrà perdonare.
La sua produzione è vastissima e ha ottenuto numerosi successi e riconoscimenti. La sua produzione riunisce tante opere premiate con la
caratteristica saliente e pronunciata della coerenza tematica, non una omogeneità di argomenti come nelle opere poematiche ma una identica attenzione e interesse per la natura rivisitata con un affetto viscerale e per la sorte dei più deboli e indifesi e per la propria sorte personale esaminata a volte con affettuosità delicata, a volte con ironia e quasi mai con sarcasmo.
L’espressione letteraria è sempre rigorosa e poco incline ai cedimenti sentimentali, piuttosto attenta a una equilibrata valutazione delle situazioni e degli accadimenti.
Qualcuno ha rilevato come i dialetti più conosciuti siano poveri di parole astratte perché trattandosi della lingua della vita reale e concreta piuttosto che dell’elaborazione intellettuale, i suoi termini sono spesso terragni e materici. A prima vista parrebbe che siano negati al dialetto i voli della fantasia e la rappresentazione delle emozioni più intime.
Basta leggere Leonelli per scoprire, al di là della semplicità espressiva, una ricerca approfondita dei modi più efficaci per rappresentare le sfumature dei sentimenti più veri e più nobili. La parola dialettale di Leonelli riesce a dire tutto il dicibile e anche l’indicibile.
La commozione traspare spesso anche oltre la compattezza lessicale.
Mi piace sottolineare di Leonelli, una sorta di classicismo linguistico dietro l’espressione dialettale e per esprimere una valutazione riassuntiva trovo e provo nella sua scrittura e dalla sua scrittura le stesse emozioni della grande Poesia.
Emozioni rappresentate con l’avvincente pudore di un uomo che rivela e cela nello stesso tempo un vissuto ricco e appagante. Poesia come Storia di un uomo che ha molto intensamente vissuto e vive.
Mi annoto per il mio piacere pochi versi che mi pare, lo rappresentino pienamente e nella sua tenerezza e nel suo disincanto.
“Tasi n’ pezzòt/ e scólteme./ I popi i é cressudi/ e ti te se in gamba:/ da questa nugoléta / de bata benedeta/ te rido e da chì su/ te voi pu ben che prima/ ma no pensarme pu.″
Rodolfo Vettorello - novembre 2015
PAOLO RUFFILLI
In una nota di lettura del luglio 2013, di "El futuro 'n le radìs": "Caro Leonelli, il tuo libro rappresenta bene il mondo contadino e le sue tradizioni, recuperati attraverso una lingua, il dialetto trentino, e riproposti con una semplicità profonda per una sorta di documentazione dall’interno pensata a rivolta ai ragazzi, ma non solo. I luoghi, gli usi di un tempo, gli antichi mestieri, ritrovano le giuste parole per raccontarli a specchio di una serie di immagini che fanno da corredo fotografico al libro. Il progetto riesce in virtù della delicata e incisiva tua vena poetica, capace di ridare nome a una realtà per la maggior parte in via di sparizione. Un prezioso glossario arricchisce il volume, consentendo una comprensione chiara dei termini meno consueti. C’è, come introduzione, una pagina di Nino Forenza, di cui avevo letto in passato alcune cose di storia locale e che insiste qui giustamente sul fatto che perdere la propria lingua significa perdere se stessi, quale monito a chi, genitori e insegnanti, è chiamato ad assicurare la memoria del passato alle giovani generazioni. Un libro intenso e coinvolgente, che travalica l’ambito stesso del Trentino, portatore com’è di valori decisamente universali, come è tipico della poesia autentica".
GIORGIO GRIGOLLI
In una affettuosa mail del 21,2.2015, successiva al mio secondo premio conseguito al Concorso Nazionale "Salva la tua lingua Locale", così scriveva: "Caro leonelli, leggo in contemporanea odierne celebrazioni sue in consueta edizione internet, tutte montanare, e su l'Adige, de Battaglia magnificante d'occasione, a illustrare coerenza e meriti suoi. Le prime propongono sue invidiabili escursioni, ma quando sta fermo? Lo dice uno che ha una gamba in disuso. Ma il giornale evidenza oggi una coerenza, una cultura e una ricerca sul positivo della trentinità che le fa onore e conforta. Un misto di sentimenti "dalla natura all'anima", fiera e partecipante. Allego il mio applauso".
|